Intervista di Beatrice Masi – II parte
John Banville nella prefazione del libro parla dell’importanza dell’ironia nella tua raccolta. Tu cosa pensi a questo proposito?
La risata e il pianto per me sono come fratello e sorella. In generale non scrivo mai testi comici, “Il giorno libero” è probabilmente l’unico racconto volutamente ironico. Il mio scopo non è quello di far ridere la gente, e io stesso non rido molto facilmente, direi piuttosto che sorrido e vorrei che gli altri facessero lo stesso. L’umorismo d’altra parte è importante e i miei personaggi lo usano spesso, e alcune volte nei racconti la linea tra commedia e tragedia è molto sottile.
Molti lettori sono rimasti affascinati da personaggio di Matty, del racconto Uno non è un numero, che è senza dubbio uno dei più controversi della raccolta.
È facile parlare di persone per bene, che hanno una bella vita. È molto più difficile parlare di una persona cattiva e orribile, e far si che il lettore si incuriosica, che scalpiti per scoprire cosa succederà nella storia. Non scrivo quasi mai di personaggi come quello di Matty, i miei personaggi hanno sempre dei difetti, ma qualcosa alla fine del racconto ti fa venire voglia di redimerli. Ma questo non è stato possibile per Matty, per lui non c’era speranza di redenzione. Io non giudico mai i miei personaggi, li osservo, ascolto le loro storie e li lascio liberi di scegliere a loro rischio e pericolo. In questo caso sono dovuto entrare nella testa di Matty e accettarlo per quello che è. La maggior parte delle volte ho in mente l’inizio e la fine del racconto e poi i sei mesi successivi li passo a scrivere quello che accade nel mezzo.
Un altro racconto che ha suscitato sentimenti contrastanti è Smeraldo.
Smeraldo è basato su un’antica ballata chiamata The Wexford Girl, che poi è diventata famosa negli Stati Uniti e così in tutto il mondo. La ballata parla di un ragazzo, un tipo strano, che uccide la sua promessa sposa. Nonostante la ballata sia stata portata in giro per il mondo, riarrangiata e leggermente modificata, la storia è rimasta sempre la stessa. Il ragazzo della canzone torna a casa da sua madre con la camicia sporca di sangue e le dice che gli è uscito il sangue dal naso, e poi va a letto. Poco tempo dopo viene arrestato, e lui non sa dare motivazioni sul perché ha ucciso la sua fidanzata. Allo stesso modo il ragazzo di Smeraldo è uno psicopatico e un maniaco del controllo.
I racconti della raccolta sembrano basati più o meno nello stesso periodo di tempo, anche se a volte un personaggio che è un bambino in una storia poi appare come adulto in un’altra.
Ti ricordi la fotografia che ti ho fatto vedere poco fa? Lì avevo 17 anni, era il 1967, e il ricordo di quell’anno mi perseguita da sempre. Ero pazzo per la musica e lavoravo nel pub di mio padre, che aprì proprio in quel periodo. Mi sono ritrovato in un mondo completamente nuovo. Il pub mi sembrava un posto pericolosissimo. Quando andavo a lavorare lì, a lavare i bicchieri, vedevo uomini ubriachi e risse in continuazione. Mio padre, che era un pugile come suo padre prima di lui, ha cominciato a cacciare gli avventori indesiderati e con il tempo il posto si è ripulito. Dopo un po’ si è cominciato a riempire di marinai, e di gente più raccomandabile. Questa esperienza, unita alla musica e al fatto che stavo crescendo hanno fatto di quell’anno uno spartiacque nella mia vita. Quindi direi che i personaggi hanno tutti più o meno la mia età. Allo stesso tempo ho scritto i racconti in una dimensione atemporale, come fanno molti scrittori irlandesi. Anche perché le cose fondamentali, basilari valgono sempre allo stesso modo non importa quanto cerchiamo di essere alternativi. Quando la morte o l’amore ti chiama, o la perdita, la redenzione o il successo i sentimenti che abbiamo sono sempre gli stessi, non importa se stiamo parlando dei nostri nonni o dei nostri nipoti. Per questo cerco di scrivere in una sorta di passato perenne.
Qual è i tuo rapporto con gli altri scrittori del canone irlandese come Yeats e Joyce, per esempio. Ti senti vicino a loro?
Credo che sono più vicino a Joyce di quanto si pensi. James Joyce ha avuto un’influenza innegabile su tutti noi. Lui si focalizzava molto su piccoli dettagli, sui suoni, che riusciva a mettere su pagina in maniera straordinaria con tecniche completamente fuori dagli schemi. E io mi ispiro molto a questo.
Qual è il tuo rapporto con il tuo paese, l’Irlanda?
Amo l’Irlanda, e amo il posto in cui vivo. E ci sono cose che abbiamo solo qui, che sono uniche, e che possiamo capire solo noi. Per esempio l’hurling, nessun altro andando a una partita poverebbe lo stesso che proviamo noi, magari si divertirebbe, ma non proverebbe lo stesso, perché per noi è una tradizione radicata nel profondo. E lo stesso vale per le canzoni, le trad session. Gli irlandesi guardano anche molto al resto del mondo. In Irlanda sono successe cose meravigliose e cose terribili e lo stesso accadrà in futuro, ma io aspetto con impazienza la parte bella.
Come ti senti ad avere il tuo libro tradotto in italiano?
È fantastico, è una sensazione bellissima sapere che il mio libro è disponibile in altre parti del mondo. Non mi è capitato molto spesso. Tutto il mio teatro è tradotto in tedesco e qualcosa in danese e giapponese, ma non è una cosa all’ordine del giorno, quindi vedere il mio libro in italiano mi rende felicissimo. E grazie per averlo tradotto e per averlo trovato, racconto a tutti la storia di come hai trovato il libro. Di come quando tutti se ne erano dimenticati voi l’avete trovato e gli avete dato nuova vita.
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