Socialismo e pallone – “Lettere da Liverpool”

Socialismo e pallone – “Lettere da Liverpool”

di Stefano Ravaglia (estratto dal libro “Lettere da Liverpool”, Battaglia Edizioni, uscita: settembre 2020)

[…] Ciò che Shankly ha portato nel suo fulgido cammino sportivo, lo deve soprattutto all’adolescenza di duro lavoro, quando la miniera e le profonde fosse di carbone erano il suo habitat quotidiano per otto ore, orgoglioso di appartenere a una categoria di lavoratori fieri che andavano contro ai soprusi dei politici e dei governi. A tal punto da scatenare uno sciopero come quello del 1926, che, seppur finito malissimo, agli occhi del giovane Bill [Shankly] sembrò un’orgogliosa rivendicazione dei diritti dei lavoratori e un’avversione contro i piani alti, filosofia che il futuro calciatore e manager cercherà di trasferire anche nel contesto del rapporto con le dirigenze calcistiche. Shankly è stato un personaggio incredibile: non solo un uomo di calcio, ma soprattutto un filosofo a suo modo, con quella parlata così grave e repentina, rappresentazione della sua innata determinazione, e con un carisma fuori dal comune nonché una spiccata ironia come ciliegina sulla torta. Il socialismo assorbito sul lavoro, prima della chiamata del Carlisle United e l’inizio della sua storia d’amore con il calcio nel 1932, ha trovato il suo naturale collocamento in uno sport di squadra come il football, in particolar modo negli anni di Liverpool. Seppur, in una delle sue tante interviste, ci tenesse a precisare quanto il significato puramente politico restasse in secondo piano: «Credo che l’unico modo di avere successo sia lavorare l’uno per l’altro, aiutarsi e fare uno sforzo collettivo. E dividersi il premio alla fine della giornata. Non è politica, è un fatto umano».

Le straordinarie capacità di un personaggio come lui, sono state esaltate dai contesti in cui ha iniziato ad allenare, a partire proprio dal Carlisle, la squadra che lo aveva lanciato. La portò prima a un quindicesimo posto, dopo averla rilevata in fondo alla terza divisione, nono la stagione successiva e addirittura terzo nel 1950-51. A Shankly va da sempre riconosciuta un’innata capacità di lavorare con del materiale grezzo trasformandolo in diamante, una familiarità con i contesti difficili che hanno necessità di essere risollevati. Al termine di quella esaltante stagione, i premi in denaro promessi dal board del Carlisle in caso di arrivo tra le prime tre, non arrivarono mai: non sarà la prima volta che Shankly se ne andrà risentito da un club. Era già accaduto proprio al Preston, che non accettava la scelta di appendere le scarpe al chiodo e tornare alle origini, questa volta da manager. Shankly non nascose il suo rammarico, e quando il Preston organizzò una partita in suo onore, il carattere del minatore emerse e lui rifiutò. Dopo il Carlisle, arriva la proposta del Grimsby Town: in Third Division la squadra arriva seconda e poi quinta l’anno successivo, giocando un calcio d’altissimo livello. Shankly aveva infuso tutta la sua caparbietà nelle metodologie d’allenamento, nel rapportarsi coi giocatori facendo credere in loro stessi dando dunque una corposa rilevanza alla preparazione psicologica e i risultati iniziano a parlare per lui.

Fu a Workington, dove iniziò a lavorare nel gennaio 1954, che allargò i suoi orizzonti dimostrando grande versatilità nel gestire un club: allenerà la squadra, ma gestirà anche la moltitudine di lettere alle quali occorreva rispondere e cercherà pure di far quadrare i conti in un periodo dove il club non navigava certo nell’oro occupandosi dei pagamenti e della amministrazione generale. Un tuttofare dal cuore d’oro, che in testa aveva solo una cultura, quella del lavoro. Cristian La Fauci, tifoso genoano e autore del libro Bill Shankly, l’uomo di Glenbuck, racconta come anche il rapporto con quest’altro club di terza divisione finì in maniera non banale: «Vi era un motivo specifico che causava frequenti liti tra Bill e la società, ovvero il fatto che lo stadio lassù era in coabitazione con la locale squadra di rugby. Shankly non gradiva affatto che dopo ogni partita con la palla ovale mischie e tacchetti danneggiassero lo stato del manto erboso, e quando capì che il direttivo fosse maggiormente interessato al rugby che al calcio, fu la classica goccia che fece traboccare il vaso e ne ebbe abbastanza». L’anticamera dell’approdo a Liverpool si chiama Huddersfield. Dapprima, come coach delle riserve, e poi come allenatore, quando Andy Beattie (suo compagno al Preston) lascia l’incarico. Siamo nel novembre del 1956.

I giovani, dunque. L’abitudine a chiamare ogni suo giocatore “figliolo” e la consapevolezza che la vera miniera, questa volta, fossero gli attori non protagonisti, quelle seconde squadre che al momento opportuno rimpinguavano il club di footballers di sicuro livello. Anche al Liverpool rivoltò come un calzino la squadra, attingendo dalle forze fresche a disposizione. L’Huddersfield negli anni ’20 aveva conosciuto il periodo più mirabolante della sua storia, vincendo tre campionati sotto la guida di Herbert Chapman, il grande manager dell’Arsenal e del modulo WM. In seconda divisione, Shankly ottiene piazzamenti senza infamia e senza lode, ma ciò che manca è una società ambiziosa che possa dare all’allenatore scozzese la possibilità di puntare ancora più in alto. Non c’è peggior veleno per Bill, che non è supportato dagli investimenti del club e ne incassa l’apatia a migliorarsi. E dire che lui aveva anche scovato un talento non indifferente: aveva sedici anni e si chiamava Dennis Law. Poco male: la storia sta per cambiare. La sua e soprattutto quella del Liverpool.

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