articolo di Chiara Angelino
Nei romanzi, così come nelle maratone, c’è una regola implicita per arrivare fino alla fine. Bisogna pensare che i primi 30 km siano da percorrere con la forza delle proprie gambe, i successivi 10 con la testa, i seguenti due con il cuore e gli ultimi 195 metri con la creatività. Leggendo Bologna in fiamme, la sensazione che si ha è un po’ proprio questa: l’ultima uscita di Gianluca Morozzi è un romanzo a tutta velocità, una corsa di resistenza fatta di saliscendi continui, una sfida contro il tempo e contro qualsiasi distanza spaziale. All’interno della grande corsa troviamo il romanzo, la storia, il giallo, l’indagine aperta su uno scenario intercontinentale, diviso a metà tra una Bologna immobile e notturna e una Los Angeles stravagante e fatiscente, che celebra in mondovisione la notte degli Oscar. E’ l’inizio, il fischio di partenza, ma il lettore sa già, lo sente, che difficilmente ci sarà occasione di fermarsi e sarà impossibile mettere giù il libro e tornare a fare altro. Tutto quello che resta da fare è cedere alla corsa, al ritmo scoppiettante e vulcanico della scrittura di Morozzi, lasciarsi guidare dai personaggi, dai dialoghi e dalle battute brillanti, inseguendo pagina dopo pagina il battito sincopato di una storia sempre più densa e intricata. Si percorrono così i primi 30 km, fatti di resistenza, di forza nelle gambe di impegno fisico e di fiato che, anche se a volte viene meno (come spesso accade al nostro obeso protagonista Vasco Vitale, sempre sull’orlo di una crisi asmatica), ti spinge comunque ad andare avanti, a non pensare, tanta è l’adrenalina che la corsa (la storia) ti ha messo in corpo. Ad ogni colpo di scena, ad ogni omicidio, ad ogni spinta, il lettore è pronto a rimanere comunque sul terreno di gara, a districarsi tra il groviglio di personaggi e trame tessute dall’autore, consapevole che una soluzione, un traguardo, anche se ancora lontano c’è, ci deve essere. I 10 km successivi sono quelli di testa, quelli dove si entra nel vivo della storia, dove la distanza guadagnata prima deve essere mantenuta e alimentata, altrimenti tutto cade. E’ qui che si capisce se la storia sta in piedi davvero, se l’autore è davvero bravo, se sa dare un senso a tutti i fili narrativi intrecciati fino a questo momento. E Morozzi lo fa, abilmente, portandoci direttamente all’interno dei meccanismi del giallo, volendo quasi sfidare il lettore e metterlo alla prova per vedere se è capace di ricreare da solo un finale, di trovare una verità ultima, che rimane però sempre e solo sussurrata. Lo fa Morozzi con l’ironia di sempre, mantenendo la sua voce dissacrante e pulp, che anche nei momenti più tragici risulta perfettamente verosimile e straordinariamente umana. E poi? E poi ci sono gli ultimi due km, quelli dove c’è il cuore. E qui, il cuore è davvero l’organo pulsante di tutto il racconto: Bologna. Una Bologna periferica, lontana da quella delle cartoline patinate con Piazza Maggiore e la fontana del Nettuno, dai turisti e dai bar del centro. E’ una Bologna torbida, afosa, asfissiante nel suo intricato groviglio di strade e senza punti di riferimento, dove accanto ai salumifici a conduzione familiare si alternano i nuovi negozi di alimentari pakistani, dove si mescolano dialetti, persone e profumi diversi, dove il vecchio incontra il nuovo in soluzione di continuità, dando alla stessa storia quella sensazione di sospensione all’interno di un tempo immobile e imprecisato che è poi la vera bellezza e l’anima della città. Restano poi gli ultimi 195 metri, quelli che ci separano dal traguardo finale. Sono le ultime pagine, quelle che, se scritte bene, rimangono impresse nelle nostre menti e che anche una volta terminata la lettura ci lasciano quella sottile, amara e bellissima sensazione che il libro non sia davvero finito, che sia ancora qui con noi, come un compagno di gara col quale si è condiviso un momento prezioso e irripetibile. Bologna in fiamme è questo, una maratona appassionata e travolgente, un po’ stancante certo, ma indubbiamente irresistibile. E se qualcuno (come spesso accade a chi non comprende la bellezza dello sforzo fisico e del sudore della corsa) oserà poi chiedere “Perché? Perché tanto affanno? Ne avevamo davvero bisogno?”, risponderemo come la stessa Battaglia Edizioni riporta in sovraccoperta: “a cosa servono i romanzi? A niente, proprio a niente…ma ci si domanda forse a cosa serve l’amore o la felicità?”.
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